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Santi del 10 Agosto

Il mio Santo > I Santi di Agosto

*Beato Agostino Ota - Martire del Giappone (10 Agosto)
Ogiza, 1570 - 10 agosto 1622

Etimologia:
Agostino = piccolo venerabile, dal latino
Martirologio Romano: Nella città di Iki in Giappone, Beato Agostino Ota, religioso della Compagnia di Gesù e martire, decapitato per Cristo. Nacque verso il 1570 nell'isola di Ogiza (gruppo delle Gotò) da una famiglia pagana. La primaria educazione gli fu impartita in un monastero di bonzi; poi verso il 1585, essendosi trasferito nelI'isola di Ota, per opera dei Gesuiti, che ivi svolgevano l'evangelizzazione, si convertì al Cristianesimo.
Divenne quindi un validissimo aiuto dei missionari prestandosi in ogni maniera e con grande generosità.
Avendo una buona cognizione della dottrina cristiana fu incaricato dell'insegnamento catechistico nella zona di Cambò ove aveva costruito una piccola cappella.
Mortagli la moglie, ed essendo senza prole, si dedicò con maggior zelo alla causa cristiana, benché la persecuzione, scatenatasi nella seconda decade del sec. XVII, fosse violentissima.
La sua attività ebbe per molto tempo il centro nella zona di Firando; si interessò di educare cristianamente parte della popolazione e nello stesso tempo si adoperò per sovvenire ad ogni necessità degli infermi e dei poveri.
Divenne in seguito uno degli aiutanti piú validi del p. Camillo Costanzo; nel 1621 con lui ritornò nelle isole di Gotò ove però entrambi furono imprigionati.
Dal carcere scrisse una lettera al padre provinciale dei Gesuiti per chiedergli di essere accolto quale fratello laico nell'Ordine; la domanda fu accolta e perciò emise i voti poco tempo prima del martirio. Fu decapitato il 10 agosto 1622 dopo quattro mesi di prigionia ad Ichi e il corpo fu disperso in mare. Venne beatificato da Pio IX il 6 luglio 1867.  

(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Agostino Ota, pregate per noi.

*Beato Andrea da Grosseto - Francescano (10 Agosto)

Il Beato Andrea da Grosseto è un francescano vissuto nel quindicesimo secolo. Non sappiamo se fosse laico o sacerdote, anche se nella biografica serafica degli uomini illustri lo dichiarano laico.
Entrò giovanissimo nell’ordine del poverello d’Assisi e fu posto sotto la protezione del Beato Tommaso da Scarlino.
"Uomo spirituale e fervoroso nell’orazione così mentale come vocale, in cui vi restava sempre immobile e cogli occhi alzati al cielo.
Fu veduto più volte nell’orazione alzarsi da terra. Anelava sole alle cose celesti."
Divenne un uomo specchio di religiosa osservanza e esempio di perfetta obbedienza.
Morì, tra gli anni 1497 e 1512, nel convento di San Benedetto della Nave, posto alle pendici del Monte Leoni, soppresso nel 1751, che si trova nella diocesi di Grosseto.
Nel martirologio francescano la sua festa si celebra il 10 agosto.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Andrea da Grosseto, pregate per noi.

*Beato Arcangelo Piacentini da Calatafimi - Sacerdote (10 Agosto)

Nato da nobile famiglia intorno al 1390, a Calatafimi, in Sicilia, il Beato Arcangelo Piacentini fin da giovane si mostra incline a un'esistenza povera e solitaria.
Si ritira a vita eremitica in una grotta presso la chiesetta di Santa Maria del Giubino. Si racconta che frequentemente, durante i momenti di preghiera, gli compariva la Madonna su un cipresso.
È ordinato sacerdote e in seguito entra a far parte dei Frati minori a Palermo, di cui successivamente assume la guida.
È fondatore del convento di S. Maria di Gesù (1430), ad Alcamo. Nella stessa cittadina fa rinascere l'ospedale di Sant'Antonio che si trovava in stato di abbandono. Al Beato si attribuiscono, oltre a una fervente predicazione della Parola di Dio, numerosi miracoli, avvenuti anche dopo la morte presso la sua tomba. Muore ad Alcamo nel 1460. Le sue reliquie si conservano ancora intatte nel convento fondato dal Beato.
La figura di Arcangelo Piacentini da Calatafimi è molto sentita ancora nei nostri giorni, soprattutto nella zona occidentale della Sicilia. (Avvenire)

Martirologio Romano: Ad Alcamo in Sicilia, Beato Arcangelo da Calatafimi Piacentini, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per austerità di vita e amore della solitudine.
Nacque circa l’anno 1390 dalla nobile famiglia Placenza e sin dalla fanciullezza si mostrò inclinato alla pietà e riluttante al mondo. Ben presto rinunziò i beni fugaci e le attrattive del secolo del quale
paventò sempre i pericoli e corse non molto lontano della città natale, a nascondersi in una grotta presso la chiesetta sacra a S. Maria del Giubino.
Qui meritò frequenti visioni della gran madre di Dio, la quale compiacevasi comparirgli su di un cipresso mentre egli era intento alla preghiera e alla contemplazione delle cose celesti.
Crescendo la fama della sua santità e il numero dei miracoli che Dio operava per le sue preghiere; il Giubino ben tosto divenne luogo frequentatissimo di un popolo, il quale correva in folla per implorare soccorso nei bisogni della vita.
Il pio eremita si afflisse profondamente di tanto concorso di uomini e paventando le seduzioni sempre più insidiose della vanità, lasciò quel luogo e andò ad Alcamo dove sperava nascondersi più facilmente alle persone.
In Alcamo ebbe concesso l'ospedale di Sant'Antonio, da tempo abbandonato, e raccolti ivi degli infelici li serviva con cura amorosissima; mentre nei ritagli di tempo che gli rimanevano liberi, si ritirava nella vicina grotta, detta tuttavia del Beato Arcangelo, per pregare e flagellare le sue carni innocenti. Aboliti da papa Martino V gli eremiti di Sicilia, Arcangelo andò a Palermo e vestì per mani del B. Matteo da Agrigento le sacre lane nel convento di S. Maria di Gesù.
Ordinatosi sacerdote ed avuta dallo stesso Beato facoltà di fondare conventi, ben tosto ritornò in Alcamo e ridusse a casa serafica il prediletto ospedale di S. Antonio, edificandovi una chiesetta che in una al convento dedicò a S. Maria di Gesù.
Eletto Vicario Provinciale rifulse come custode rigidissimo della regolare osservanza, intrepido propugnatore della gloria di Dio e amatore ardente della salute delle anime.
Predicò con frutto la parola di Dio, si adornò di virtù insigni e fu chiarissimo per il dono dei miracoli e delle profezie.
In tutto il corso della sua vita santissima fu talmente umile di cuore da desiderare ardentemente che nessuno lo conoscesse.
Così, ricco di meriti e chiaro per virtù, morì in Alcamo nel convento da lui fondato, l'anno 1460 il giorno 24 luglio fra l'universale compianto.
Numerosi miracoli sono avvenuti presso la sua tomba e il culto a lui reso da tempo immemorabile è stato approvato da Gregorio XVI.

(Autore: Raimondo Lentini – Fonte: P.Agostino Gioia ofm, La Minoritica Provincia di Val Mazara, Palermo 1925)
Giaculatoria - Beato Arcangelo Piacentini da Calatafimi, pregate per noi.

*San Besso - Martire (10 Agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“San Maurizio, Candido, Essuperio, Vittore e Compagni" -  Martiri della Legione Tebea”

+ Campiglia, Torino, fine III secolo
Secondo la tradizione, Besso era un soldato della legione Tebea convertitosi al Cristianesimo. Intorno al 286, l’imperatore romano Massimiano si trovava con le sue truppe ad Agaunum (odierna Saint-Maurice in Svizzera).
I soldati cristiani della legione Tebea, vennero massacrati per aver rifiutato di sacrificare agli dei pagani.
All'eccidio scamparono solo pochi legionari, che presero a vagare per i monti, portando il messaggio della nuova fede.
Questi soldati spesso martirizzati, furono i primi evangelizzatori di molte vallate della Alpi Occidentali. Anche Besso riuscì a convertire un gran numero di montanari della Val Soana, finché venne catturato e scaraventato giù dal Monte Fautenio. Besso morì, ma lasciò miracolosamente la sua impronta sulla roccia sottostante, dove ora sorge il santuario a lui dedicato.

Patronato: Campiglia (To), Valprato Soana (To), Cogne (Ao)
Emblema: Palma, Spada, Stendardo, Croce Maurizian
Tra i numerosi martiri pseudo-tebei, cioè presunti appartenenti alla mitica Legione Tebea, San Besso pare essere quello con un culto popolare maggiormente radicato ed ancor oggi fiorente.
In realtà incerte ed oscure sono le notizie che lo riguardano.
La leggenda ne ha fatto come dicevamo un ex soldato della Legione Tebea, dunque compagno di San Maurizio, scampato al tragico eccidio di Agunum (odierna Saint-Maurice in Svizzera) ordinato dall’imperatore Massimiano e, passando per la Valle d’Aosta ed in particolare da Cogne ove è venerato, rifugiatosi in Piemonte.
Qui si sarebbe dedicato all’evangelizzazione dei montanari pagani.
Talvolta però Besso è considerato un vescovo di Ivrea, vissuto nell’VIII secolo e viene allora avanzata l’ipotesi, peraltro non suffragata da antiche fonti, che si possa trattare di due personaggi ben distinti: il primo sarebbe stato un eremita morto e venerato nel santuario alpestre sopra Campiglia in Val Soana, mentre il secondo un martire di Ivrea, qui venerato sin dall’antichità, a volte fu creduto addirittura vescovo della città.
Ad aumentare la confusione circa la reale identità del santo contribuisce la doppia festa liturgica in suo onore il 10 agosto ed 1° dicembre, celebrata sia nel santuario che ad Ivrea.
Anche sulle circostanze del martirio di San Besso esistono molteplici versioni.
Quella riportata in un breviario del 1473 conservato presso la diocesi di Ivrea, racconta di come il santo, invitato da alcuni ladri di bestiame ad un banchetto ed accortosi della provenienza furtiva della carne di pecora che gli era stata offerta, deplorò aspramente il costume dei montanari che lo ospitavano.
Questi, adirati contro di lui, lo scaraventarono giù dal Monte Fautenio e lì, ancora in vita, egli sarebbe stato raggiunto e trucidato dai legionari romani rimasti sulle sue tracce da Agaunum.
Sulla roccia sarebbe miracolosamente impressa una sua impronta.
Secondo la tradizione, il santuario fu costruito sul luogo del martirio sotto al grande masso, ancora oggi meta di pellegrinaggi.
La stessa fonte documentale riporta che, secondo un’altra versione, il Santo si sarebbe miracolosamente salvato e, rifugiatosi nella vicina Valle di Cogne, in quest’ultima dimora sarebbe stato massacrato dai legionari romani.
Lo storico ed antropologo francese Robert Hertz raccolse nel 1912 ancora un’altra versione della vita di San Besso, tramandata oralmente tra la gente di Cogne, secondo la quale il santo non fu un milite tebeo, ma semplicemente un devoto pastore locale che Dio ricompensava facendo prosperare il suo gregge.
Secondo tale versione, egli sarebbe stato scaraventato giù dalla rupe da alcuni montanari miscredenti, furenti dall’invidia nei suoi confronti.
Sulle vicende delle spoglie mortali del santo, la leggenda vuole che nel IX secolo, dopo esser state
trafugate da pii ladri avidi di reliquie, esse siano finite in avventurose circostanze ad Ozegna, ove ora sorge il santuario della Beata Vergine del Convento e del Bosco.
Un paio di secoli dopo, ad opera del celebre Re Arduino, le sacre reliquie vennero da qui traslate nella cripta della cattedrale di Ivrea, ove trovarono degna collocazione in un antico sarcofago romano tuttora visibile.
Oggi riposano invene in un altare laterale di detta cattedrale insieme ad altri santi martiri.
San Besso ebbe fama di grande santo taumaturgo, autore di innumerevoli miracoli, protettore dei soldati contro i pericoli della guerra.
La speciale devozione verso il santo si esprime ancor oggi nella festa in suo onore celebrata annualmente il 10 agosto nel santuario posto tra le montagne del Parco Nazionale del Gran Paradiso, nell’alta Val Soana ad oltre 2000 metri di altitudine.
I fedeli accorrono numerosi in pellegrinaggio sia da Campiglia che dalla vallata di Cogne, da cui occorre partire il giorno prima e pernottare presso il ricovero del santuario. Molti, un tempo, indossavano i coloratissimi costumi tradizionali delle diverse valli.
La statua del santo viene portata in processione compiendo un giro attorno alla grande rupe che fu testimone del suo martirio: l’onore di portare la statua del santo, oggi attribuito ponendola all’incanto, fu un tempo causa di violenti liti tra Campigliesi e Cognensi, due comunità oggi appartenenti a differenti diocesi, ma prima del 1200 unite sotto la diocesi di Ivrea, oltre che dalla comune parlata dialettale franco-provenzale.
Nelle credenze e nei riti popolari è possibile individuare elementi che rimandano alle antiche venerazioni di rocce ritenute centri di irradiazione di una forza divina.
Talune fonti affermano che “durante il rito devozionale, i fedeli effettuano pratiche segrete e misteriose basate sulla convinzione che il contatto con la pietra favorisca la fecondità”.
In realtà l’origine di questo culto è certamente precristiana ed è caratterizzata dalla persistenza di un forte culto litico.
Ancora oggi le popolazioni di Cogne e Campiglia sono fortemente attaccate alla tradizione dei poteri taumaturgici della roccia di Besso, ovvero di scaglie scalpellate dalla roccia del monte Fautenio.
Occorre infine come sia del tutto singolare e significativa l’assonanza tra il nome di San Besso ed il dio egizio Bes, anch’egli particolarmente invocato per la fecondità.
Un’ulteriore somiglianza fra il santo cristiano e la divinità pagana è prettamente iconografica, in quanto entrambi sono sovente raffigurati con un copricapo di piume di struzzo.
Bibliografia
- Robert Hertz, “San Besso. Studio di un culto alpestre”, saggio contenuto in “La preminenza della destra e altri saggi”, Einaudi, Torino, 1994
-
Marco Reis, “Il mistero di Besso - Tra Cogne e Campiglia le radici di un popolo”, Lampi di Stampa, 2006.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Besso, pregate per noi.

*San Blano - Vescovo (10 Agosto)

Martirologio Romano: A Dumblain in Scozia, San Blano, vescovo.
Le memorie sul culto tributato a Blano (Blaano, Blanio), vissuto nel sec. VI o forse in epoca successiva, sono antiche e abbastanza certe: la prima menzione è nel Martirologio di Usuardo, in un'aggiunta alla edizione di Lubecca del 1475, dove al 10 maggio si legge: «In Scotia S. Blanii episcopi et confessoris» (cf. PL, CXXIV, col. 352).
La sede episcopale di Blano in documenti posteriori è chiamata, dal suo nome, Dumblanum o Blandonum. Purtroppo, la Vita giunta a noi in gran parte attraverso il Breviario di Aberdeen, merita poca o nessuna fede, essendo completamente intessuta di leggenda.
Secondo questo testo, Blano nacque nell'isola di Buta dall'amore illegittimo di Berta (o Erta) per un giovane ignoto.
San Catano, fratello della donna, seguendo i duri usi del luogo ordinò che madre e bambino fossero posti in una barca sfondata e abbandonati in mare.
La Provvidenza, però, fece nutrire miracolosamente Berta e mandò un vento propizio che condusse l'imbarcazione al porto di Beutorne in Irlanda dove i naufraghi furono accolti da san Comgall e da San Kennet, che battezzarono il bambino.
Dopo sette anni Berta e Blano, compiendo un altro favoloso viaggio su di una barca senza remi e senza vele, tornarono in Scozia: questa volta San Catano accolse il fanciullo lietamente, lo fece educare (sembra in un cenobio) e gli conferì tutti gli ordini sacri, fino all'episcopato.
Oggi Blano è considerato vescovo di Kingarth, località nella menzionata isola di Buta, all'estuario del fiume Clyde.
Il suo culto sopravvive nelle diocesi di St. Andrews, Dunkeld e Argyll, e la sua festa si celebra il 10 agosto.

(Autore: Pietro Burchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Blano, pregate per noi.

*Beato Edoardo (Edward) Grzymala - Sacerdote e Martire (10 Agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”

Kolodziaz, Polonia, 29 settembre 1906 – Dachau, Germania, 10 agosto 1940
Il Beato Edward Grzymala, sacerdote diocesano, nacque a Kolodziaz, Polonia, il 29 settembre 1906 e
morì a Dachau, Germania, il 10 agosto 1940.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano:
Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, Beati Francesco Drzewiecki, della Congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, ed Edoardo Grzymała, sacerdoti e martiri, che, polacchi di origine, durante la devastazione della patria in tempo di guerra furono messi dai loro persecutori in un carcere straniero e raggiunsero Cristo uccisi in una camera a gas.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Edoardo Grzymala, pregate per noi.

*Sant'Erico (Erik) IV - Re di Danimarca, Martire (10 Agosto)
1216 - 10 agosto 1250
Primo figlio di Valdemar Sejr e di Berengaria, nacque nel 1216 e visse in uno dei più tormentati periodi che la Danimarca abbia attraversato. Era stato nominato duca della regione di Sonderjylland nel 1218 ed era stato incoronato re nel 1232, ma cominciò a regnare nel 1241.
Uno dei suoi fratelli, Abele, rifiutò di riconoscerlo re e ne nacque una guerra intestina fra i numerosi fratelli durante la quale la più gran parte del Sonderjylland fu devastata.
Nel 1249 progettò una crociata in Estonia e per sostenere le spese mise un'imposta su ogni aratro, provocando una sommossa nella Scania, la parte meridionale dell'attuale Svezia, che allora apparteneva alla Danimarca.
Da questa imposta gli derivò il soprannome di Plovpennings, con il quale è passato alla storia (da plov = aratro e penning - moneta, danaro).
La crociata fu rimandata, ma l'anno dopo Erico entrò improvvisamente nel paese di Abele e costrinse il fratello a sottomettersi.
Poco dopo, durante una discussione, Abele fece prendere il fratello a tradimento e lo consegnò ad uno dei suoi nemici mortali, che, fattolo decapitare, ne buttò il cadavere in mare (10 agosto 1250).
Quando, il giorno dopo, il cadavere fu trovato da alcuni pescatori, fu sepolto dai «frati neri» (così si chiamavano allora nel Nord i Domenicani) nella loro chiesa.
Nel 1257 fu trasportato nella chiesa di Ringsted, dove sono sepolti molti re danesi. La impressionante morte di Erico e la sorte che, come un castigo di Dio, era toccata ai suoi assassini (tutti morirono di morte violenta), fecero sì che il popolo danese lo considerasse come un martire e molte confraternite sorgessero in suo onore e col suo nome.
La sorte tragica del re Erico offrì materia al grande poeta danese Ohlenschlager (1779-1850) per un dramma, Enrico ed Abele, scritto nel 1820.
La sua festa si celebra il 9 o il 10 agosto.

(Autore: Anna Lisa Sibilla – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Erico IV, pregate per noi.

*Beato Francesco Drzewiecki - Sacerdote Orionino, Martire (10 Agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene: “Beati 108 Martiri Polacchi”
Zduny, Polonia, 26 febbraio 1908 - Dachau, Germania, 13 settembre 1942
Nato a Zduny, il 26 febbraio 1908, Francesco entrò adolescente nel seminario di Zdunska Wola nella Piccola Opera della Divina Provvidenza di San Luigi Orione. Dopo gli studi liceali e filosofici, nel 1931 andò in Italia, nella Casa madre di Tortona, per il noviziato e gli studi di teologia.
Fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1936. Operò poi al Piccolo Cottolengo di Genova-Castagna. Ritornato in Polonia nel 1937, fu educatore nel collegio di Zdunska Wola.
Nell'estate del 1939 fu chiamato ad occuparsi della parrocchia «Sacro Cuore» e del Piccolo Cottolengo di Wloclawek. Qui lo sorprese la guerra. L'occupazione nazista in Polonia divenne persecuzione religiosa.
Il 7 novembre 1939, don Drzewiecki e quasi tutto il clero della diocesi di Wloclawek, compresi i seminaristi e il vescovo, furono arrestati e tradotti in carcere.
Internato a Dachau il 14 dicembre 1940, don Franciszek, dopo due anni di stenti, di privazioni, di lavori forzati e di nobile presenza umana e religiosa, fu eliminato perché «invalido a lavorare». Morì il 13 settembre 1942. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, Beati Francesco Drzewiecki, della Congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, ed Edoardo Grzymała, sacerdoti e martiri, che, polacchi di origine, durante la devastazione della patria in tempo di guerra furono messi dai loro persecutori in un carcere straniero e raggiunsero Cristo uccisi in una camera a gas.
Don Orione l’aveva quasi profetizzato e certamente si era augurato che la sua ancor giovane congregazione venisse fecondata dalla testimonianza e dal sangue di martiri, ma certamente non poteva prevedere che questo suo desiderio si sarebbe attuato tanto presto.
Infatti, il primo martire degli Orionini, riconosciuto tale dalla Chiesa, arriva appena due anni dopo la morte del fondatore.
Francesco Drzewiecki nasce il 26 febbraio 1908, in Polonia, a Zduny, ed entra nel seminario di Zdunska Wola, cioè nella città in cui è nato San Massimiliano Kolbe, anch’egli martire dei lager.
La sua vocazione è chiara e ben delineata: diventare sacerdote e religioso all’interno della Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Lo mandano a fare il noviziato e a studiare teologia a Tortona, proprio dove vive don Orione, che con la sua sola presenza plasma e modella i suoi figli. Più o meno negli stessi anni e nella stessa Casa si sta
forgiando la centallese suor Plautilla, anche lei avviata alla gloria degli altari.
Ordinato sacerdote il 6 giugno 1936, fa una breve esperienza nella struttura per handicappati gravi del Piccolo Cottolengo di Genova-Castagna, e poi a fine 1937 ritorna in patria, dove lo attende un’intensa attività educativa e pastorale, che svolge con generosità e dedizione.
Tutto ciò fino al 1° settembre 1939, giorno in cui la Germania invade la Polonia, dando inizio ad una feroce persecuzione religiosa.
Il successivo 7 novembre quasi tutto il clero della diocesi di Wloclawek, Vescovo e seminaristi compresi, viene arrestato e incarcerato: tra loro anche don Francesco, che inizia così una via crucis, le cui “stazioni” dolorose hanno i nomi di Wloclawek, Lad, Szczyglin, Sachsenhausen, corrispondenti ai vari “campi” in cui viene internato e in ciascuno dei quali il pretino viene ricordato come “l’uomo che edificava con la sua cortesia e premura”.
Il 14 dicembre 1940 fa il suo ingresso nel famigerato lager di Dachau e destinato alle piantagioni: così, alle sofferenze e alle umiliazioni degli altri campi, si aggiungono estenuanti marce di trasferimento da una coltivazione all’altra e un duro lavoro sotto sole, vento o pioggia che finiscono per stremare quei poveri corpi già minati dalla fame e dalle malattie.
Anche qui si accorgono della sua presenza, perché “si distingue fra tutti come il più buono, il più servizievole, il più caritatevole”. Accovacciato per terra, come gli altri, per togliere erbaccia, o piegato a zappare e vangare, tiene davanti a sé la scatoletta dell’Eucaristia e fa adorazione ed è evidentemente questa a dargli la forza non solo per non disperare, ma anche per incoraggiare gli altri. Arriva però il giorno in cui anche don Francesco si ammala e deve essere eliminato “perché invalido a lavorare”.
Il 10 agosto 1942 inizia il suo ultimo viaggio verso la morte, che si concluderà nella camera a gas del castello di Hartheim, nei pressi di Linz. “Come polacchi offriremo la nostra vita per Dio, per la Chiesa, per la Patria”: sono le ultime parole, accompagnate da un sorriso, che un chierico orionino di 24 anni raccoglie dalle sue labbra prima della partenza e che fanno, della sua, non una morte subita, ma un’offerta deliberatamente e coscientemente compiuta.Viene eliminato il 13 settembre 1942, ad appena 34 anni di età e 6 di ordinazione, lasciando in tutti la sensazione di un vero martire.
E poiché anche la Chiesa tale lo ha riconosciuto, è stato beatificato da Giovanni Paolo II° nel 1999. (Autore: Gianpiero Pettiti)
Al lager di Dachau è legata una delle pagine più tragiche e gloriose del Clero polacco: in esso furono reclusi ben 1780 ecclesiastici e di essi 868 vi trovarono la morte.
La Chiesa non ha esitato a esaminare gli eventi nella ricerca degli elementi sufficienti per dare a molte vittime la gloriosa corona del martirio. Pensiamo a Massimiliano Kolbe, Tito Brandsma e ad Edith Stein, tra i più noti di una eroica schiera di testimoni di Cristo, periti nei lager.
I martiri di questi campi non ebbero troncata la vita con un attimo pur eroico di sofferenza: si trattò di un lungo calvario fatto di umiliazioni, ingiurie, maltrattamenti, che prepararono e determinarono spesso l'olocausto conclusivo finale. Tra gli eroici testimoni della fede e della carità cristiana morti a Dachau, brilla di eminente splendore la figura di Mons. M.Kozal, vescovo di Wloclawek, e la corona di "socii martyres", con lui morti a Dachau. Per 107 di essi è stata introdotta la causa di beatificazione che mira a provare la loro esemplarità eroica sia nel martirio e sia nella loro vita cristiana: 3 vescovi, 51 sacerdoti diocesani, 21 sacerdoti religiosi, 3 chierici, 7 fratelli coadiutori, 8 suore e 9 laici. Don Francesco Drzewiecki è uno di questi.
Nato a Zduny, il 26.2.1908, Francesco entrò adolescente nel seminario di Zdunska Wola (città di San Massimiliano Kolbe) per realizzare la sua vocazione sacerdotale e religiosa nella Piccola Opera della Divina Provvidenza del beato Don Luigi Orione. Dopo gli studi liceali e filosofici, nel 1931 andò in Italia, nella Casa madre di Tortona, per il noviziato e gli studi della teologia. Fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1936. Spese le sue primizie sacerdotali al Piccolo Cottolengo di Genova-Castagna, una istituzione per handicappati gravi, dove era anche formatore di un gruppo di "vocazioni adulte". Ritornato in Polonia sul finire del 1937, Don Francesco continuò la sua attività di educatore nel collegio di Zdunska Wola. Nell'estate del 1939 fu chiamato ad occuparsi della Parrocchia "Sacro Cuore" e del Piccolo Cottolengo di Wloclawek. Qui lo sorpresero i noti e tremendi eventi bellici, scantenatisi a partire dall'invasio-ne tedesca del 1° settembre 1939.
L'occupazione nazista si trasformò ben presto in persecuzione religiosa, realizzata in modo sistematico e particolarmente violento nella Polonia cattolica. Il 7 novembre di quel 1939, Don Drzewiecki e quasi tutto il Clero della diocesi di Wloclawek, compresi i seminaristi e il Vescovo Mons. M. Kozal, furono arrestati e tradotti in carcere.
Iniziava una lunga via crucis di umiliazioni e di sofferenze: Wloclawek, Lad, Szczyglin, Sachsenhausen e infine Dachau. Dai compagni di lager fu ricordato come "l'uomo che edificava con la sua cortesia e premura", secondo l'espressione di Mons. F.Korszynski nel suo noto libro Jasne promienie w Dachau (Pallottinum, Poznan) p.193. Internato a Dachau il 14 dicembre 1940, Don Franciszek Drzewiecki, dopo due anni di stenti, di privazioni, di lavori forzati e di nobile presenza umana e religiosa, fu eliminato perché "invalido a lavorare". Morì il 13 settembre 1942. Aveva solo 34 anni: 6 di sacerdozio.
Tante sono le testimonianze della nobiltà e santità d'animo di Don Drzewiecki, spicca quella di Don Jozef Kubicki, anch'egli Orionino e chierico di 24 anni al momento della reclusione a Dachau. Don Kubicki racconta: "Al campo di concentramento, don Drzewiecki era stato destinato alle piantagioni. Doveva fare lunghe ed estenuanti marce di trasferimen-to a piedi, lavorare sotto sole, pioggia, vento. Venne il tempo in cui don Drzewiecki, si indebolì e si ammalò gravemente.
Gli mancavano le forze per camminare. Andò al revier (inferme-ria). Mentre don Drzewiecki si trovava al revier è venuta una Commissione e tutti quelli che non erano in grado di lavorare ("i mussulmani", li chiamavano) li eliminavano: o venivano gasati o uccisi con altri modi. Fu così che don Drzewiecki fu iscritto per il trasporto di invalidi". Quei viaggi terminavano al forno crematoio. Con il trasporto del 10 agosto 1942, egli fu portato per l'eliminazione con il gas al Castello di Hartheim, nei pressi di Linz. Era mattino presto.
Avevo finito il turno notturno di lavoro. Nella strada principale del lager avevano radunato gli invalidi per il carico dell'invali-dentrasport. Don Francesco, pur sapendo di rischiare, attraver-sò la strada e mi venne a dare l'addio. Ha bussato alla finestra e io sono saltato su dal giaciglio. Don Drzewiecki mi disse: Giuseppino, addio! Partiamo. Ero tanto abbattuto che non riuscivo a dire neanche una parola di rammarico. E don Drzewiecki continuò: Giuseppino non ti dar pena. Noi, oggi, tu domani... E con grande calma disse ancora: Noi andiamo... Ma offriremo come Polacchi la nostra vita per Dio, per la Chiesa e per la Patria" (da Due Orionini al Lager. Memoriale, Roma, 1997).
Don Drzewiecki manifestò in questo supremo e drammatico momento di essere buon pastore "pronto a dare la vita per le sue pecore" (Gv 10,11) e lo espresse nell'offrire, coscientemente e liberamente, quella vita che, all'apparenza dei fatti, gli era tolta iniquamente. Come Gesù. "Io offro la mia vita e poi la riprendo. Nessuno me la toglie; sono io che la offro di mia volontà" (Gv 10,17-18). Per don Drzewiecki, "agnello mansueto condotto al macello", la conformazione a Cristo, raggiunge il suo apice in quel saluto, prima di salire sul convoglio dell'invalidentrasport: "Per Dio, per la Chiesa e per la Patria". La carità, frutto della sua abituale unione con Dio, fu il tessuto della sua vita. Lo rese prima chierico esemplare, poi educatore e pastore zelante, infine, lo sostenne ed esaltò nella terribile prova e morte nel lager. La causa di Don Francesco Drzewiecki, come quella dei "Socii martyres", è iniziata nella diocesi di Wloclawek nel 1992. Conclusa la fase istruttoria, la Congregazione per le Cause dei Santi ha emesso il Decreto di validità del processo diocesano il 24 gennaio 1995. L'Informatio de vita, virtutibus, martyrio et fama martyrii è pronta per il giudizio conclusivo.

Bibliografia: Korszynski Franciszek Jasne promienie w Dachau, Pallottinum, Poznan, 1957; in italiano: Un Vescovo polacco a Dachau, Morcelliana, Brescia, 1963.
Borowiec Jan - Peloso Flavio, N. 22666: Don Francesco Drzewiecki, l'uomo che edificava nel Lager di Dachau, Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1995, (Messaggi di Don Orione, 87).
Borowiec Jan - Peloso Fravio, N. 22666: Ks. Franciszek Drzewiecki, swiatlo w ciemnosciach Dachau, Orionisci, 1995. Due Orionini al Lager. Memoriale, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1997.
Peloso Flavio, Offriremo come Polacchi la nostra vita per Dio per la Chiesa e per la Patria in L'Osservatore Romano, 13.9.1998, p.4.

(Autore: Don Flavio Peloso - Postulatore generale - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Drzewiecki, pregate per noi.

*Beato Francesco Francois (Sebastiano da Nancy) - Sacerdote e Martire (10 Agosto)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri dei Pontoni di Rochefort” - 64 martiri della Rivoluzione Francese

1749 - 1794
Durante la Rivoluzione Francese, morì incarcerato in una sordida nave perchè era sacerdote.
Martirologio Romano: Nel braccio di mare antistante Rochefort sulla costa francese, Beati Claudio Giuseppe Jouffret de Bonnefont, della Compagnia dei sacerdoti di San Sulpizio, Francesco François, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, e Lazzaro Tiersot, dell’Ordine Certosino, sacerdoti e martiri, che, relegati durante la rivoluzione francese in una sordida galera, subirono il martirio per il loro sacerdozio.
Tra le 547 vittime dei "pontons de Rochefort" e i 64 sacerdoti beatificati come martiri della rivoluzione francese figura anche padre Sebasatiano da Nancy.
La trama della sua biografia è un po' più documentata. Francesco François era nato il 17 gennaio 1749 a Nancy da Domenico e Margherita Verneson, e venne battezzato il giorno dopo nella chiesa di S. Nicola. Suo padre era un bravo falegname e gente distinta e nobile furono il suo padrino e madrina. Il che significava uno stato sociale di benestanti borghesi.
Non fu difficile al piccolo Francesco imparare a conoscere i frati cappuccini che fin dal 1593 si erano insediati a Nancy nella periferia della città per poi passare nel 1613 in un convento più accogliente, rifatto con la generosità del duca Leopoldo di Lorena e del re Stanislao nel 1746.
Infatti la parrocchia S. Nicola, fondata nel 1731, utilizzava la chiesa dei cappuccini per il culto fino al 1770. I frati si raccoglievano nel retro coro e animavano il Terz'Ordine francescano.
Il loro convento era importante sede del capitolo provinciale e del lanificio della provincia per la confezione delle tuniche e mantelli per tutti i cappuccini di Lorena, distribuiti in ben 28 conventi sul territorio della regione.
La loro vitalità apostolica e il loro dinamismo caritativo a favore dei poveri, degli appestati e dei sofferenti li aveva resi assai popolari e molti richiesti. Ma quando nel 1768 il giovane Francesco François, diciannovenne, entrò nel convento di Sanit-Mihiel, fin dal 1602 destinato alla formazione dei novizi, già si notava una certa crisi di vocazioni.
La Commissione dei Regolari, istituita dal re di Francia nel 1766 per correggere abusi e riformare i monasteri e i conventi, intervenendo con un editto del re nel 1768 a fissare a 21 anni l'età di ammissione ai voti solenni, aveva contribuito ad accelerare questa crisi.
Il maestro dei novizi p. Michele di Saint-Dié il 24 gennaio 1768 lo rivestì dell'abito cappuccino col nome nuovo di Frate Sebastiano e un anno dopo ricevette la sua solenne professione. L'atto della sua professione, segnato nel registro ufficiale, è il primo del 1769, come l'atto di battesimo aveva inaugurato nel registro della parrocchia S. Nicola l'anno 1749. Dopo il noviziato Sebastiano passò nello studentato cappuccino di Pont-à-Mousson, un convento fondato nel 1607 e rinnovato nel 1764.
Al tempo del Beato vi abitavano nove padri, sei chierici e un fratello laico.
La città era indicata come luogo di studi avendo un efficiente collegio di gesuiti. Egli stava completando i suoi studi ed era già stato ordinato sacerdote, anche se non si conosce la data precisa della sua ordinazione.
Nel 1777, il 5 giugno, venne approvato come confessore nel convento di Sarreguemines, dove bisognava conoscere anche la lingua tedesca che era usata in quella zona di confine.
Nel 1778 i documenti lo segnalano presente nel convento di Sarrebourg, diocesi di Metz, come confessore, in una comunità di religiosi molto esemplare nella povertà e osservanza della regola. I documenti sono molto eloquenti negli anni 1782-1784. Si tratta di registri della parrocchia di Saint-Quirin.
Il Beato vi svolgeva frequente ministero pastorale, battesimi, matrimoni, ecc. supplendo alla mancanza di clero locale.
Il 26 agosto 1784 il capitolo provinciale triennale lo destinò al convento di Commercy dove rimase fino al 1787, e probabilmente fino al 1789, eccetto una pausa nel convento di Dieuze, svolgendo sempre apostolato attivo e in auxilium cleri.
Padre Sebastiano a partire dal 1789 si trovava nel convento d'Epinal, sulla riva sinistra del braccio occidentale della Moselle, quando scoppiò la rivoluzione francese con tutte le sue conseguenze antireligiose. e antiecclesiastiche. I commissari municipali il 30 aprile 1790 entrarono nel convento per fare l'inventario. Un anno dopo i mobili ed effetti del convento venivano venduti, mentre p. Sebastiano, che aveva rifiutato di giurare la Costituzione, con una pensione di 770 lire, dopo l'espulsione dei frati dal convento, si era incamminato verso il convento di Châtel-sur-Moselle, indicato dal Consiglio municipale come casa comune dei cappuccini.
Da qui verranno in seguito espulsi per non aver voluto partecipare a una processione guidata da un parroco che aveva giurato la Costituzione civile del clero. Messi sul lastrico, i frati furono accolti e aiutati dalla popolazione. Il 9 novembre 1793 egli fu inviato nella casa delle terziarie a Nancy, che serviva come prigione per i preti refrattari. Era la risposta del Comitato di sorveglianza, al quale il padre si era presentato spontaneamente chiedendo di conformarsi alla legge che prevedeva la prigione ai refrattari.
Il 26 gennaio 1794 l'amministratore del distretto di Nancy venne a verificare la situazione di tutti i detenuti, la causa del loro arresto, l'età e l'eventuale infermità. Di p. Sebastiano annotò che era refrattario e senza nessuna infermità, pronto, quindi a entrare nella lista dei preti ribelli da spedire a Rochefort. Partirono infatti il primo aprile successivo 48 preti e religiosi e dopo un penoso tragitto durato quattro settimane, spogliati di ogni cosa che ancora potevano avere, giunsero a Rochefort il 28 aprile.
Pochi giorni dopo erano imbarcati sul naviglio negriero dei Deux-Associés, già carico di ben 373 preti e religiosi prigionieri, vengono trasportati fra le isole d'Aix e d'Oleron dove il veliero viene attraccato. A p. Sebastiano si presenta una visione desolante: quelle centinaia di prigionieri pallidi in viso, barbe lunghe e incolte, abiti sudici, annunciano una prigionia da moribondi.
Infatti una vecchia goletta serviva a raccogliere i malati e infettati terminali come in un ospedale, ma senza medicine e medici, in attesa che la morte facesse il suo corso.
E allora con un canotto si prelevavano e trasportavano i dieci-dodici cadaveri quotidiani per essere sepolti nella sabbia di quella costa marina.
"Era il nostro naviglio ingolfato di preti e religiosi - lasciò scritto un sopravvissuto - come un altare per l'olocausto innalzato dalla Provvidenza tra le onde del mare per la consumazione perfetta del sacrificio". I corpi delle vittime, completamente spogliati come nei campi di concentramento itleriani, venivano trasferiti sulle rive sabbiose e alcuni dei prigionieri ancora in discreta salute li dovevano seppellire nella sabbia senza poter recitare apertamente nessuna preghiera o innalzare al cielo qualche canto della Chiesa.
"Dio permetteva questa quotidiana scena di strazio - scrisse ancora uno dei superstiti - per aumentare il prezzo delle nostre sofferenze, donandoci una più perfetta rassomiglianza con il suo divin Figlio nella sua passione. Nulla ci consolava nelle nostre afflizioni, nulla ci fortificava nelle nostre prove se non il pensiero di Gesù che regna nei cieli ed è attento dall'alto del suo trono ai nostri combattimenti, egli che prima di noi e per noi era stato legato, flagellato, schiaffeggiato, sputacchiato, coronato di spine, rivestito da pazzo, abbeverato di fiele e di aceto, inchiodato su una croce, insultato e maledetto dai suoi nemici.
Questa considerazione spirituale del nostro Redentore faceva come stillare una dolcezza ineffabile nei nostri cuori. Ci sentivamo felici di essere stati scelti fra tanti per fare questa via dolorosa e seguire il nostro Maestro divino.
Soffrivamo non solo con pace, ma con gusto, e morivamo con gioia. Pensavamo che Gesù Cristo aveva voluto, nei diversi secoli, che ciascun dogma della fede fosse conservato e anzi consolidato nella sua Chiesa per mezzo del sangue di un numero di martiri più o meno grande, secondo l'importanza della verità combattuta; e noi pensavamo che era un grande onore per noi essere perseguitati e sacrificati per corroborare l'insegnamento dell'autorità spirituale e indipendente dalle autorità del mondo, divinamente attribuita alla Sede Apostolica e in generale a tutto l'episcopato".
Questa preziosa testimonianza ha lasciato anche uno splendido ritratto di p. Sebastiano, colto come un fiore speciale di virtù in quel mazzo di fiori profumati dei martiri. Ecco le sue parole: "Il Signore aveva manifestato la santità di un altro dei suoi servi, il padre Sebastiano, cappuccino della casa di Nancy, venuto per morire su questa stessa galeotta.
Questo santo religioso era fra noi in singolare venerazione per la sua eminente pietà e virtù e toccante devozione. Pregava incessantemente, soprattutto nell'ultima malattia.
Un mattino lo si vide in ginocchio, le braccia aperte in forma di croce, gli occhi elevati al cielo, la bocca aperta. Non vi si fece molto caso, perché si era abituati a vederlo pregare così, durante la sua malattia.
Passò mezz'ora ed eravamo stupiti di vederlo perseverare in quella posizione così scomoda e difficile da tenersi in quel modo perché allora il mare era piuttosto mosso e l'imbarcazione beccheggiava e oscillava molto.
Probabilmente era in estasi. Allora ci avvicinammo per osservarlo dappresso. Toccando la sua figura e le sue mani ci rendemmo conto che egli già da molte ore aveva reso in quella positura la sua anima a Dio. Non riuscimmo mai a spiegarci come il suo corpo avesse conservato così a lungo quella posizione orante, nonostante il continuo rullio della piccola imbarcazione. Si chiamarono subito i marinai.
Essi a quello spettacolo non riuscirono a trattenere un grido d'ammirazione e le lacrime. Si risvegliò in quel momento la fede nei loro cuori e alcuni di loro, denudando le braccia, mostravano a tutti l'effigie della croce tatuata con pietra rovente, e decisero di ritornare alla religione che avevano abbandonato". Era il 10 agosto 1794.

(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Francesco Francois, pregate per noi.

*San Geraint II - Re del Cornwall (10 Agosto)

+ 556 circa
Nella Vita di San Teilo si legge che questi, fuggendo in Armorica per sottrarsi alla peste gialla del 547, passò per il Cornwall e vi fu ricevuto amichevolmente dal re Gerennius (forse nipote di Geraint I), al quale, riconoscente, promise assistenza spirituale in punto di morte.
Nel 555 o 556 Teilo tornò dall’Armorica e, sbarcato a Dingerein, si recò da Geraint che trovò in fin di vita: il re ricevette da Teilo l’Eucaristia, morì e fu sepolto nel sarcofago che il Santo gli aveva portato in dono (miracolosamente, poiché la pesante pietra aveva navigato trainata da buoi dinanzi alla nave del Santo).
Geraint morì quindi nel 556 ca. e la voce popolare, forse per i rapporti che lo legavano a Teilo, lo proclamò Santo.
La chiesa di St. Gerrans, presso St. Just
(indicata nei registri dei vescovi di Exeter come “ecclesia Sti. Gerentis”, nel Roseland, è probabilmente dedicata a lui, dato che Din Gerrein, il palazzo di Geraint, è nel territorio della parrocchia, in cui la festa di Geraint si celebra la seconda domenica di agosto precedentemente il 10 agosto).

(Autore: Mario Salsano – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Geraint II, pregate per noi.

*Beato Giovanni di Gabriello (o Gabriele Piccolomini) - Domenicano (10 Agosto)
† 10 agosto 1410

Il Beato Giovanni di Gabriello o Gabriele Piccolomini è un domenicano che viene ricordato come un apostolo instancabile della pratica di devozione del Santissimo Rosario.
La tradizione narra che fu proprio Santa Caterina da Siena a volerlo apostolo del santo rosario. Si tramanda anche, che la Santa gli apparse in punto di morte nel giorno 10 agosto 1410.
Secondo Girolamo Gigli nel suo testo "Diario senese" si dice che il Beato Gabriele di Davino Piccolomini fu il padre del Beato Giovanni.
"Il Beato Giovanni di Gabrile – racconta il Gigli - fu uno di quei guadagnati a Dio ed alla Religione de’ Predicatori dalla serafica Santa Caterina.
Sotto la disciplina di questa gran Maestra tanto si approfittò che menò vita da Santo, onde i suoi religiosi, che hanno sì gran pratica della Santità l’onorano del Diadema solito apporsi a’ Beati".
Non esiste alcuna festa in suo onore, anche se in alcuni calendari era festeggiato nel giorno 10 agosto.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni di Gabriello, pregate per noi.

*Beati Giovanni Martorell Soria e Pietro Mesonero Rodriguez - Salesiani, Martiri (10 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

+ Spagna, agosto 1936

Martirologio Romano:
A Valencia ancora in Spagna, Beato Giovanni Martorell Soria, sacerdote della Società Salesiana e martire, che patì il martirio nella medesima persecuzione.
Insieme a lui si commemora anche il beato martire Pietro Mesonero Rodríguez, religioso della stessa Società, che nel villaggio di Vedat de Torrent nel territorio di Valencia in un giorno ignoto ricevette la gloriosa corona per aver testimoniato Cristo.

Juan Martorell Soria
Picasent, Spagna, 1 settembre 1889 – Valencia, Spagna, 10 agosto 1936.
Nacque a Picassent (Valenza) il 1° settembre 1889. Fu un uomo umile e semplice. Divenne salesiano quando era già avanti negli anni, dopo aver lavorato da sagrestano nella nostra chiesa di Sant'Antonio Abate.
Qui ritornò dopo l'ordinazione, nel 1923.
Si trovò a svolgere il suo lavoro pastorale nei difficili anni della Repubblica. La fede cominciava a essere perseguitata, e il suo lavoro apostolico nel quartiere non fu sempre ben accolto da tutti.
Ma Don Juanfu sempre un buon pastore per tutti, specialmente per i più umili. Dopo l'assalto al collegio, passò una settimana in carcere con il resto dei salesiano: uscendo fu nuovamente fermato e, ricondotto al collegio, fu sottoposto a diverse torture.
Un testimone afferma che, mentre perdeva sangue in prigione, si dava da fare per incoraggiare i compagni di prigionia. A metà agosto fu portato via per essere ucciso.
Pedro Mesonero Rodriguez
Aldearrodrigo, Spagna, 29 maggio 1912 – El Vedat, Spagna, agosto 1936.
Nato a Aldearrodrigo (Salamanca) il 29 maggio 1912. Cominciò i suoi studi nel seminario di Astudillo (Palencia) e li continuò a Campello (Alicante), ma la precarietà della sua salute l'obbligò a ritornare a casa.
Dopo la morte del fratello, anche lui salesiano, andò di nuovo a Campello ed emise la sua professione religiosa il 3 agosto 193I.
Passò a Mataro e poi a Valenza, dove lo sorprese la guerra.
Fu un uomo di carattere gentile e simpatico, molto apprezzato dai compagni.
Uscendo dal carcere si rifugiò, insieme con un altro sacerdote, in Meliana (Valenza), da dove, più tardi, dovette fuggire. Fermato, si rifiutò di denunciare altri religiosi.
Fu ucciso in "EI Vedat",vicino alla cittadina di Torrente (Valenza).

(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beati Giovanni Martorell Soria e Pietro Mesonero Rodriguez, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Toledo Pellicer - Sacerdote e Martire (10 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

Martirologio Romano:
In località El Saler vicino a Valencia in Spagna, Beato Giuseppe Toledo Pellicer, sacerdote e martire: conformato a Cristo sommo sacerdote, che tanto aveva amato, lo imitò nella gloria del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Toledo Pellicer, pregate per noi.

*Santi Ireneo ed Aurelio - Martiri, Venerati a Cutigliano (10 Agosto)
Cutigliano (Val di Lima, diocesi e provincia di Pistoia) conserva nella sua chiesa parrocchiale i corpi di questi due martiri.
Tolti, come tanti altri, dalle catacombe romane e forse individuati nel nome da un'iscrizione tombale e nella qualità di martiri dalla consueta, non sicura, simbologia di segni in essa incisi o graffiti, ovvero dalla presenza - di valore probativo altrettanto incerto - di presunte ampolle di sangue, essi furono trasferiti lassù nella seconda metà del sec. XVII.
Ne ottenne la concessione dal papa Alessandro VIII un giureconsulto oriundo di Cutigliano e dimorante a Roma, l'auditore Pietro Pacioni, fratello minore del più celebre Giuliano.
Le reliquie dei due presunti ma
rtiri ottennero una intensa venerazione nel paese di Cutigliano e in tutta la montagna pistoiese. Un artistico altare in loro onore venne eretto nella nieve.
La loro festa si celebrò solennemente ogni anno, il 10 agosto, giorno anniversario della loro traslazione.
Con beni donati per testamento dallo stesso Pietro Pacioni, il 1° gennaio 1697 fu istituita un'opera pia, ad essi intitolata, che esercitò per lungo tempo benefica attività, mantenendo nel paese una scuola di grammatica e retorica ed assegnando sussidi a giovani che mostrassero disposizione a frequentare i corsi universitari, ma ne fossero impediti da mancanza di mezzi.
A scopo di culto e di suffragio per i defunti sorse pure, sotto il titolo dei suddetti santi martiri, una confraternita, eretta con decreto vescovile in data 16 novembre 1843 ed arricchita d'indulgenze e privilegi dal pontefice Gregorio XVI con breve del 22 maggio 1844.
La devozione popolare verso questi due Santi si è oggi affievolita.
Anche la festa annuale, che un tempo si celebrava con notevole concorso di popolo e con manifestazioni devozionali e folkloristiche di vario genere, ha oggi perduto quasi del tutto la sua solennità e le sue originarie caratteristiche.

(Autore: Sabatino Ferrali – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Ireneo ed Aurelio, pregate per noi.

*Beato Lazzaro Tiersot - Sacerdote certosino, Martire (10 Agosto)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri dei Pontoni di Rochefort” 64 martiri della Rivoluzione Francese - Senza data (Celebrazioni singole)

Semuren-Axois, Francia, 29 marzo 1793 - Rochefort, Francia, 10 agosto 1794
Certosino della certosa di Beaune (Côte-d'Or), fu beatificato in data 1° ottobre 1995 da Papa Giovanni Paolo II.
Martirologio Romano: Nel braccio di mare antistante Rochefort sulla costa francese, Beati Claudio Giuseppe Jouffret de Bonnefont, della Compagnia dei sacerdoti di San Sulpizio, Francesco François, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, e Lazzaro Tiersot, dell’Ordine Certosino, sacerdoti e martiri, che, relegati durante la rivoluzione francese in una sordida galera, subirono il martirio per il loro sacerdozio.
Oggi 10 agosto, si ricorda un altro martire certosino vittima della Rivoluzione Francese. Il suo nome è Lazare Tiersot, egli nacque a Semuren- Axois, nella diocesi di Sens-Auxerre, il 29 marzo del 1739.
Divenne certosino il 18 dicembre 1769, nella certosa di Fontenay, presso Beaune, dove trascorse la sua vita monastica ricoprendone il ruolo di Vicario, fino al giugno del 1791.
Difatti, dopo questa data la certosa fu soppressa, in ottemperanza alla legge del gennaio 1790 che prevedeva la soppressione degli ordini religiosi, a seguito di ciò Lazare Tiersot decise di ritirarsi nella cittadina di Avallon.
Dopo soli due anni, il 19 aprile 1793 fu però arrestato e condotto nel carcere ad Auxerre, l’anno seguente Tiersot, insieme ad altri quindici sacerdoti locali, rei di essersi opposti al giuramento contro la Chiesa imposto dai rivoluzionari, fu poi deportato a La Rochelle, Rochefort.
Qui, come vi ho già descritto in un articolo precedente, si trovavano due imbarcazioni, chiamate “les Deux- Associès” e la “Washington” che venivano usate come vere e proprie prigioni. Lazare Tiersot
fu incarcerato sulla “Washington”, dove come gli altri subì rigide condizioni di prigionia, essi furono privati di tutto, anche dei breviari, dei Vangeli, e dei crocifissi.
I carcerieri si accanirono, sui poveri religiosi minacciandoli, malmenandoli e costringendoli al digiuno, il tutto aggravato da pessime condizioni igieniche.
Ciò consentì il diffondersi di malattie infettive, come il tifo e lo scorbuto che rapidamente cominciarono a far morire numerosi prigionieri.
In questo scenario infernale, l’opera caritatevole di Tiersot fu esemplare, poiché nonostante le sofferenze subite riusciva a infondere fiducia e calma agli altri detenuti, ai quali offriva il suo conforto sempre.
Assistette chi si ammalò prima di lui, e si sacrificò oltremodo, evitando addirittura di sdraiarsi per riposare, per consentirlo di fare agli altri.
Dopo tanto prodigarsi, anch’egli si ammalò e serenamente il 10 agosto del 1794 si spense la sua esistenza all’età di 56 anni, a causa di una febbre putrida.
Il suo corpo, insieme a quello del confratello certosino Claudio Beguignot, fu interrato nell’isola di Aix, dove riposa. La sua beatificazione avvenne il 1 ottobre 1995, quando il pontefice Giovanni Paolo II riconobbe nei cosiddetti “Martiri dei Pontoni di Rochefort” dei testimoni della fede.
Oltre alle testimonianze dirette di questi avvenimenti, reseci note dai sopravvissuti, rimane come simbolo della sofferenza di questi santi martiri una reliquia. Si tratta di un piccolo crocifisso di legno, realizzato per sopperire alla privazione imposta loro dai carcerieri, e che pare venisse stretto tra le mani da ognuno dei religiosi in punto di morte.
La particolarità di questo manufatto è rappresentata dalla mancanza delle braccia del Cristo, forse perché chi lo realizzò non riuscì mai a completarlo. Il cosiddetto «Cristo senza braccia», è oggi un simbolo che resta a memoria della tragica fine dei “Martiri dei Pontoni di Rochefort”.

(Fonte: www.cartusialover.wordpress.com)
Giaculatoria - Beato Lazzaro Tiersot, pregate per noi.

*San Lorenzo - Diacono e Martire (10 Agosto)
Martire a Roma, 10 agosto 258
Fin dai primi secoli del cristianesimo, Lorenzo viene generalmente raffigurato come un giovane diacono rivestito della dalmatica, con il ricorrente attributo della graticola o, in tempi più recenti, della borsa del tesoro della Chiesa romana da lui distribuito, secondo i testi agiografici, ai poveri.
Gli agiografi sono concordi nel riconoscere in Lorenzo il titolare della necropoli della via Tiburtina a Roma.
È certo che Lorenzo è morto per Cristo probabilmente sotto l'imperatore Valeriano, ma non è così certo il supplizio della graticola su cui sarebbe stato steso e bruciato.
Il suo corpo è sepolto nella cripta della confessione di San Lorenzo insieme ai Santi Stefano e
Giustino. I resti furono rinvenuti nel corso dei restauri operati da Papa Pelagio II. Numerose sono le chiese in Roma a lui dedicate, tra le tante è da annoverarsi quella di San Lorenzo in Palatio, ovvero l'oratorio privato del Papa nel Patriarchio lateranense, dove, fra le reliquie custodite, vi era il capo. (Avvenire)
Patronato: Diaconi, Cuochi, Pompieri
Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino
Emblema: Graticola, Palma
Martirologio Romano: Festa di San Lorenzo, diacono e martire, che, desideroso, come riferisce San Leone Magno, di condividere la sorte di Papa Sisto anche nel martirio, avuto l’ordine di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò al tiranno, prendendosene gioco, i poveri, che aveva nutrito e sfamato con dei beni elemosinati.
Tre giorni dopo vinse le fiamme per la fede in Cristo e in onore del suo trionfo migrarono in cielo anche gli strumenti del martirio.
Il suo corpo fu deposto a Roma nel cimitero del Verano, poi insignito del suo nome.
Forse da ragazzo ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana.
Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251.
L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana.
Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260.
Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo.
É noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di Papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana.
Assiste il Papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.
Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana.
Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti.
Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato.
La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258.
Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio.
Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”. Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze.
Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo.
Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: "Ecco, i tesori della Chiesa sono questi".
Allora viene messo a morte. E un’antica “passione”, raccolta da Sant’Ambrogio, precisa: "Bruciato sopra una graticola": un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli.
Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione.
Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri.
Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina.
Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.  

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lorenzo, pregate per noi.

*Santi Martiri Alessandrini (10 Agosto)

Martirologio Romano: Commemorazione dei Santi martiri, che ad Alessandria d’Egitto, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, sottoposti per lungo tempo dal prefetto Emiliano a molteplici e raffinate torture, ottennero con vari generi di morte la corona del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri Alessandrini, pregate per noi.

*Beati Pietro Jo Suk e Teresa Kwon Cheon-rye - Sposi e martiri (10 Agosto)
Scheda del Gruppo a cui appartengono:
"Beati Martiri Coreani" (Paolo Yun Ji-chung e 123 compagni) - Senza data (Celebrazioni singole)

+ Seul, dopo il 10 agosto 1819
Pietro Jo Suk e Teresa Kwon Cheon-rye vissero il matrimonio rimanendo celibe lui e vergine lei, dedicandosi alla preghiera, alla predicazione del Vangelo e alla carità verso chi era più povero di loro. Quando lui fu arrestato perché cattolico, la moglie lo seguì volontariamente. Morirono in un giorno seguente al 10 agosto 1819, per decapitazione, insieme alla vedova Barbara Ko.
Pietro aveva trent’anni e Teresa trentacinque. Inclusi nel secondo gruppo di 124 martiri coreani, sono stati beatificati da Papa Francesco il 16 agosto 2014, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud.
Pietro Jo Suk, detto Myeong-su (“Suk” era il suo nome da adulto, secondo le consuetudini coreane), nacque a Yanggeun, nel distretto di Gyeonggi, da una famiglia nobile. Durante la persecuzione Shinyu, esplosa nel 1801, si rifugiò nel distretto di Gangwon, presso l’abitazione di sua madre.
Crescendo, dimostrò di essere molto intelligente, dotato, gentile e molto maturo per la sua età. Tuttavia, influenzato dall’ambiente circostante, prese a trascurare la religione cattolica cui era stato educato.
Tornò alla fede a diciassette anni, quando sposò Teresa Kwon Cheon-rye.
Quest’ultima, nata a Yanggeun nel 1784, era figlia di Francesco Saverio Kwon Il-sin, uno dei primi cattolici coreani, perito durante la persecuzione Sinhae del 1797; sua madre, invece, morì quando lei aveva sei anni.
Sin da bambina si distinse per virtù e per fede. Crescendo, cercava di portare amore e pace tra i suoi familiari con gentilezza e carità, anche in mezzo alla persecuzione Shinyu, esplosa quando aveva diciott’anni.
Rimasta sola al mondo, Teresa decise di trasferirsi a Seul con un nipote e di dedicare la propria verginità a Dio. Tuttavia, i parenti andarono a trovarla e le fecero presente che la società coreana
poneva degli ostacoli per una donna sola. A quel punto, accettò la loro proposta e, a vent’anni, venne data in sposa a Pietro Jo Suk.
Il suo proposito, tuttavia, non era un’idea passeggera. La prima notte di nozze, infatti, Teresa consegnò al neo-sposo una lettera, nella quale gli domandava di poter vivere restando vergine lei e celibe lui. Commosso dalla sua determinazione, lui accettò la proposta e ritornò allo zelo di un tempo.
La fede di entrambi si accresceva sempre più. Trascorrevano il loro tempo in preghiera, nella proclamazione del Vangelo e nella quotidiana offerta dei propri sacrifici.
Anche se erano poveri di per sé, sapevano dare in elemosina a chi stava peggio di loro. A volte Pietro si sentiva tentato a venir meno al suo impegno di celibato, ma con l’aiuto di Teresa resistette.
Insieme provvidero ad aiutare il compagno di fede Paolo Jeong Ha-sang (o Chong Hasang) per organizzare un viaggio a Pechino, allo scopo di ottenere dei sacerdoti missionari per il Paese. Lo stesso Paolo, insieme alla vedova Barbara Ko, li aiutava nel loro operato.
Tuttavia nel marzo 1817, proprio mentre lui si trovava a Pechino, la polizia irruppe nell’abitazione: aveva appreso che Pietro era cattolico. Teresa lo seguì volontariamente e fu imprigionata con lui e con Barbara.
L’ufficiale incaricato di sottoporli all’interrogatorio usò tutti i mezzi possibili per far svelare loro dove si trovassero gli altri credenti, ma non ottenne di far aprire loro bocca. Quando fu il turno di Teresa, lei rispose: «Il nostro Signore è il Padre di ogni essere umano e il Padrone di tutte le creature. Come posso rinunciare a Lui? Quando uno tradisce i propri genitori, non può essere perdonato.
Quindi, come possiamo tradire Dio che è Padre di tutti?».
Dopo ripetute torture e altri interrogatori, il giudice comprese che non avrebbero cambiato idea e li rimise in prigione. Ogni volta che Pietro si sentiva debole e scoraggiato, Teresa era accanto a lui per chiedergli di restare fedele, cosicché entrambi potessero morire per Dio.
Con Barbara al loro fianco, rimasero in carcere per più di due anni, in condizioni miserande, ma incrollabili quanto alla fede.
Infine, un giorno successivo al 10 agosto 1819 (20 giugno per il calendario lunare), Pietro, Teresa e Barbara vennero decapitati. Lui aveva trent’anni, la moglie trentacinque. Un mese dopo, ai fedeli rimasti fu concesso di prelevare i loro cadaveri.
Le reliquie, tra le quali c’era una lunga treccia dei capelli di Teresa, conservata in un cesto, vennero custodite in casa di Sebastiano Nam I-gwan. Molti, aprendo il contenitore, affermarono di sentire un dolce profumo.
I due sposi e la loro compagna, insieme al fratello di Teresa, Sebastiano Kwon Sang-mun, che venne martirizzato durante la persecuzione del 1801, sono stati inclusi nei 124 martiri beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud. Paolo Jeong Ha-sang e Sebastiano Nam I-gwan, invece, sono stati canonizzati insieme ad altri 101 credenti coreani da san Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Pietro Jo Suk e Teresa Kwon Cheon-rye, pregate per noi.  

*Santa Plettrude - "VII-VIII secolo" (10 Agosto)

Nacque da una nobile famiglia franca nelle vicinanze di Treviri. Suo padre Ugoberto, parente del santo vescovo Teodardo, divenne, nel 705, vescovo di Maastricht e sua madre fu, come oggi viene generalmente riconosciuto, la Beata Irmina, che morì come badessa di Oren ed è presumibilmente sepolta a Weissenburg.
Andata sposa al maggiordomo franco Pipino, Plettrude esercitò su di lui un benefico influsso e dal matrimonio nacquero due figli, Drogo e Grimoaldo che morirono precocemente.
I suoi rapporti con lo sposo tuttavia furono spesso offuscati dalla presenza di una concubina, Alpaida (Chalpaida, da cui nacque Carlo Martello.
Partecipò in misura determinante alla fondazione nel 697-98 del monastero di Echternach, nell'odierno Lussemburgo, che fu affidato a san Willibrordo, e a quella di Kaiserswerth con l'aiuto di San Suitberto.
Da questi due centri partirono missionari anglosassoni destinati in particolare alla conversione dei Frisoni.
Dopo la morte di Pipino nel 714, P. affidò la reggenza a Carlo Martello e si ritirò a Colonia, dove fondò
una chiesa in onore della Madre di Dio, che più tardi prese il nome di « S. Maria in Capitolio », e una comunità conventuale. Secondo la tradizione mori a Colonia il 10 agosto 725 e vi fu sepolta.
Il culto di Plettrude rimase limitato alla chiesa da lei fondata e al convento di S. Maria in Capitolio dove la sua tomba si trovava nel centro del coro dinanzi all'altare maggiore e dove si conserva ancora il coperchio del sepolcro col ritratto della santa scolpito nel sec. XI.
Le notizie relative a Plettrude derivano anzitutto dalla Chronica Regia del sec. XII, quindi sono tardive, ma la tradizione che la riguarda come fondatrice e come santa è rimasta ininterrotta.
Il giorno della sua morte è stato sempre celebrato in S. Maria in Capitolio come « memoria Plektrudis reginae fundatricis huius ecclesiae » e malgrado l'opinione dei Bollandisti, il suo culto è provato senza alcun dubbio. Il Calendario di Essen del sec. XIII o XIV riporta il suo nome, così come le litanie del Liber Capitularis di S. Maria nel sec. XIV.
La sua festa veniva celebrata prima il 10, più tardi l'11 agosto ed anche il 18 settembre.

(Autore: Johannes Emil Gugumus - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Plettrude, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (10 Agosto)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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